-“So, Mr Williamson, what have you done in order to find gainful employment since your last signing on date?”
-“Fuck all!”
Come si sente veramente la persona media del ventunesimo secolo? Com’è la vita quando lo schermo della televisione si spegne inghiottendo tutto l’ostentato benessere dei nostri cari tempi moderni? Come si sta lontano dai palazzi della finanza? Che sensazione si prova quando si perde ogni coscienza, ogni riferimento, quando una classe politica che dovrebbe rappresentare e tutelare ha spremuto tutto il possibile dal proprio elettorato lasciandolo senza risposte? Cosa si dice ai propri figli dopo essere tornati a casa dal lavoro senza certezza alcuna?
Molto probabilmente almeno qualcuna tra queste risposte è rintracciabile nella musica degli Sleaford Mods. Da questo punto di vista, il duo di Jason Williamson (sì, il Jobseeker dell’introduzione) e Andrew Fearn è un perfetto gruppo pop. Parlano della vita comune in tutte le sue sfaccettature, di bunch of cunts, del vicino di casa stronzo, dell’edilizia popolare, di McFlurry, di come sia bellissimo essere divorati e digeriti da un meccanismo i cui ingranaggi si iniziano a intravedere solo quando ormai si è già stati espulsi da dietro sotto forma di escrementi ben ambientati in schemi di vita che spaziano dall’orribile all’appena accettabile (citando e riadattando qui in maniera piuttosto maccheronica proprio Mr Williamson). Gli Sleaford Mods sono il progetto musicale di due uomini che tutto ciò lo vivono proprio come il loro pubblico, di quelli che incarnano nel vero senso della parola il sacrosanto insegnamento di quei Minutemen che dicevano Our band could be your life. Artisti che cantano come parlano perché sentono la necessità di farlo. E se i loro dischi non parlano come un geezer qualsiasi, se non sono almeno un pochino comici nella loro poetica sboccataggine, se non dipingono con pennellate severe il cielo grigio di pioggia e le case di mattoncini rossi, se non si addentrano con crudo realismo nella palude che è l’Europa del 2019, allora non sono materiale degno di essere pubblicato.
Gli Sleaford Mods sono allo stesso tempo la band più punk degli ultimi anni. Concettuali, diversi da tutti gli altri e allo stesso tempo così irresistibilmente ballabili e rock’n’roll. Se state già pensando ai jeans strappati sul ginocchio e alla pennata tutta giù a 200 all’ora di Johnny Ramone però non siete sulla strada giusta. In realtà di chitarre sul palco non ce ne sono affatto, ma a ben vedere nemmeno di altri strumenti. Tutto quello di cui si servono i due per prendere a calci in faccia il pubblico non è altro che un ormai comunissimo laptop, una cassa di birre dove appoggiarlo e un microfono da maltrattare. Mr Williamson ci mette (e credetemi che non è poco) il suo working class rant e il frenetico, tarantolato gesticolare. Al resto, lattina di birra alla mano, ci pensa il buon Andrew. Il risultato di questa miscela di fattori, che sicuramente trova la sua dimensione catartica nel trasudare di qualche club inglese, è un sound assolutamente unico, che sgorgando dalla fonte electropunk dei Suicide si arricchisce con riferimenti hip-hop e beat che sfoggiano un basso di matrice post punk, per poi confluire in quella botta che ha saputo portarli dalla disoccupazione e la dipendenza fino alle copertine dei magazines inglesi, dai pubs di Nottingham ai festival indie più prestigiosi d’Europa.
I got an armful of decent tunes, mate. But it’s all so fucking boring.
Un pensiero riguardo “We are real – Sleaford Mods”