Verdena – “Solo un grande sasso”

Verdena - Solo Un Grande Sasso - Front

Essere ventenni non è così facile come sembra. Passare in qualche mese dal suonare per i soliti, irriducibili quattro parenti e amici nei locali della provincia bergamasca ad essere una delle promesse del panorama rock italiano non è semplice. Probabilmente lo è ancora meno sopportare il fardello del controverso titolo di “Nirvana de noantri / dei poveri”. Figuriamoci poi per due fratelli e una ragazza cresciuti in Val Seriana, dove non ci sono che montagne, grigiore, e montagne. Eppure in quel 2001 la musica dei Verdena non è claustrofobica, chiusa, serrata, isolata. È spaziale, aperta, dilatata, squisitamente malinconica. Kurt Cobain c’è ancora, ma sguazza placidamente in un mare di psichedelia agrodolce e massiccia. Dopo L’inaspettata esplosione underground del primo, Nirvaniano disco omonimo prodotto da Giorgio Canali e le introverse apparizioni a MTV e Videomusic, il trio bergamasco a inizio Secolo si affida a Manuel Agnelli per la produzione dell’attesissimo seguito. Rimanendo in tema montano, Alberto, Luca e Roberta avrebbero potuto a quel punto imboccare il sentiero battuto, quello nella pineta pop-grunge che tutti si sarebbero aspettati dopo aver pogato come i ragazzi del video di Smells Like Teen Spirit sulle chitarrone di “Viba” e “Valvonauta”. Invece no. I Verdena divorano i Motorpsycho, assaggiano un po’ di Dinosaur jr, si dissetano alla fonte beatlesiana, recitano una preghiera dedicata al culto dei 13th Floor Elevators, un’altra alla Chiesa dei primordiali Pink Floyd di Syd e le canzoni si impennano sulla cresta della montagna, in bilico sul vuoto ma allo stesso tempo così vicine al cielo e sicure di sé. I tre ragazzini sfoggiano una maturità fuori dal comune e con un cambiamento radicale e improvviso rispetto al loro ancora breve passato compongono subito un disco fuori dal comune, che rappresenta ancora oggi uno dei picchi più alti della loro carriera. Le strutture si allungano e i pezzi si concretizzano sempre più spesso in trip cosmici di rock potente ma allo stesso tempo delicato che ricalcano le atmosfere eteree ed emotive vicine a Vortex Surfer o ai migliori pezzi di Angels and Daemons at Play dei maestri  Motorpsycho. Il nonsense dei testi di Alberto accompagna la navicella spaziale Verdena nei suoi viaggi lisergici dalle tinte aranciate ed è facile perdersi nell’intreccio tra le parole e la musica. Il risultato è un album compatto e fluente nei saliscendi umorali delle canzoni che ne fanno parte, alzando l’asticella del rock alternativo italiano a livelli che raramente saranno raggiunti in futuro e contemporaneamente plasmando un sound fino a quel momento piuttosto inedito nella penisola. Il disco d’altronde non mostra segni di cedimento e, dopo l’ovattata “La tua fretta”e l’impattante “Spaceman” l’ascoltatore si immerge da capo a piedi nei meandri del nuovo suono della band con la sconvolgente cavalcata di “Nova”, che si incastra con il rock della successiva “Cara Prudenza”   (difficile pensare ad una semplice coincidenza con la perla del Disco Bianco beatlesiano Dear Prudence per quanto riguarda il titolo), anticipando il gioiellino “Onan”, prima soffice ballad e poi ruvido sfogo. Il cuore del disco è invece dedicato a “Starless”, che chiamando in causa i King Crimson sorprende con il suo riff tagliente ed ossessivo che sfocia in una coda che rappresenta senza dubbio uno dei momenti più coinvolgenti dell’album, alla trascinante “Miami Safari” e all’episodio pop della Lennoniana “Nel mio Letto”. Ma ecco che subito ci si rituffa nelle atmosfere fumose dell’avventurosa “1000 Anni con Elide”, nel rock-pop tirato di “Buona Risposta” e nell’Odissea psichedelico-malinconica di “Centrifuga”, stupendo viaggio tra le onde sonore che si infrangono continuamente sugli scogli della nostra corteccia cerebrale. Prima che ce se ne accorga il disco si è concluso così come era iniziato, con la dissolvenza acustica di “Meduse e Tappeti”. La puntina si alza, pian piano ci si riconnette con la realtà.

E comunque sia / Tu nei sensi e nell’immagine / Puoi convincermi / Tutto in fondo è così semplice / Ed inutile

ANNO: 2001
ETICHETTA: Black Out, Mercury, Universal
GENERE: alternative rock, psych rock, indie rock, neopsychedelia, rock
Ascolta l’album

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